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Messina: i miti e le leggende dello Stretto

Lo Stretto di Messina, nei suoi 3,14 km ha sempre racchiuso un mare estremamente pericoloso: qui sono avvenuti i famosi terremoti e maremoti che hanno distrutto più volte la città; sulle sue acque soffiano venti tempestosi, sorgono miraggi e si verificano strani prodigi.

Messina: i miti e le leggende dello Stretto

Leggende e infinite storie legate al mare sono di casa a Messina, fin dalle sue origini. Non a caso il monumento più amato dai messinesi è la fontana dedicata a Nettuno che riproduce il dio del mare nell’atto di placare due ninfe furibonde, Scilla e Cariddi, le stesse che nell’Odissea mettono a dura prova Ulisse.
Si ricorda in particolare l’ira del dio contro Ulisse dopo l’accecamento del figlio Polifemo, il Ciclope che abitava sulla costa siciliana. Secondo Strabone, il nome di Reggio Calabria (l’antica Rhegion) era dovuto alla frattura (in greco regma) che separò la Sicilia dalla Calabria, in seguito a un colpo di tridente dato da Nettuno.

Un altro mito attribuisce la fondazione della città di Messina al gigante Orione, figlio di Nettuno, che nella scenografica fontana di Orione è raffigurato con il suo cane Sirio. Questa importante fontana si trova in piazza del Duomo, proprio di fronte al celebre Orologio astronomico a più piani.
Il culto del dio del mare era pregnante per la città dello Stretto, tanto che i Monti Peloritani erano chiamati un tempo Nettuni.

Messina: i miti e le leggende dello Stretto

Tra i fenomeni più singolari dello stretto suscita molta curiosità quello della Fata Morgana, un’illusione ottica dovuta alla rifrazione e riflessione della luce, percepibile nelle giornate più calde e afose, poco prima dell’alba. Si ha l’impressione di vedere in alto sull’acqua delle costruzioni fluttuanti, le città di Messina e Reggio Calabria riflesse.
La tradizione popolare, che probabilmente risale ad età normanna, ha voluto vedervi la città sottomarina di Morgana, fata e sorella di re Artù. D’altra parte in molte leggende messinesi si ritrovano echi e figure del ciclo carolingio e di quello bretone.

Nella novellistica locale vi è un racconto che richiama vecchie favole orientali, quello di Colapesce, cui si intitola una delle banchine del porto. Nicola, detto Cola e poi Colapesce, era un pescatore abilissimo che viveva presso Capo Peloro. Egli disincagliava le reti dei pescatori e li informava se stava per arrivare una tempesta.
La variante forse più affascinante ci narra che il re chiese un giorno a Colapesce di controllare su cosa poggiasse Messina. Dopo essersi tuffato, Cola risalì riferendo che la città era poggiata su uno scoglio. Sorretta da tre colonne: una intatta, una scheggiata e una rotta.
Per evitare che la sua amata Messina si inabissasse, Colapesce si sostituì alla colonna rotta e ancora oggi sorregge questa parte della Sicilia.