Fuori è croccante e buono, dorato e bello da vedere, al suo interno nasconde un mix di emozioni, gusti e sapori che si incontrano per formare una delle più belle ricette attribuite alla cultura siciliana: l’arancino. Quest’ultimo ha alle spalle una lunga tradizione che ancora oggi si tramanda di generazione in generazione.
Voi come lo chiamate: arancino o arancina?
La questione non è così semplice come può sembrare ma rappresenta una vera e propria diatriba che addirittura ha richiesto l’intervento dell’Accademia della Crusca per porre fine a tale dilemma.
Proviamo a fare un po’ di chiarezza insieme, noi lo chiameremo arancino!
In genere viene chiamata “arancina” nelle zone della Sicilia occidentale, soprattutto a Palermo. A Catania e nelle zone della parte orientale dell’isola viene chiamato con l’appellativo maschile ovvero “arancino”.
I due non sono differenti solo nel nome ma anche nella forma. L’arancina palermitana è rotonda proprio come un’arancia. Nel catanese l’arancino ha una forma particolare più appuntita, come a voler riprodurre la forma di un vulcano: l’Etna. In questo caso, l’arancino rappresenta il vulcano mentre il sugo raffigurerebbe la lava.
Per capire la differenza tra i due appellativi partiamo dal principio. L’arancino, o arancina che dir si voglia, deve la sua nascita probabilmente al popolo arabo. Dominando la Sicilia tra il IX e l’XI secolo, gli arabi hanno portato con sé molte delle proprie tradizioni. La particolarità di questo popolo è l’uso preponderante di spezie nei piatti. Essi avevano l’abitudine di appallottolare il riso con le mani, conferendogli una forma sferica, di insaporirlo con lo zafferano e condirlo con della carne d’agnello. Dal momento che questa grande polpetta di riso aveva la forma di un’arancia, fu chiamata arancino.
Una curiosità interessante è che all’epoca, la Piana di Catania, era la più grande risaia del sud Italia.
Solo dal XIX secolo troviamo l’arancino siciliano nei ricettari. L’origine araba è stata infatti messa in discussione dal momento che questa data è molto recente.
Il termine originale è dunque “arancinu”. Ma come si traduce “arancinu” in italiano? Al maschile o al femminile?
La Crusca spiega che nel dialetto siciliano il frutto dell’arancio si chiama “aranciu”, che traducendolo in italiano nazionale diventa arancio. Se “aranciu” viene declinato al maschile, allora anche “arancinu” verrà declinato allo stesso modo. Il dilemma non è tuttavia risolto.
Nella seconda metà del Novecento, infatti, si giunge alla conclusione di dare il femminile a tutti i nomi dei frutti e il maschile per quelli degli alberi. In Toscana e in altre parti d’Italia tutt’ora il frutto “arancia” viene chiamato “arancio”.
Il maschile arancino, traduzione del termine dialettale “arancinu”, diventa arancina nel momento in cui la codifica del maschile per l’albero e il femminile per il frutto porta a una transizione nella lingua italiana.
La Crusca decide di esprimersi in merito: entrambe le forme sembrano essere corrette, anche se il femminile “arancina” è percepito come più giusto, poiché deriva dal frutto arancia. Si ipotizza che il genere femminile arancia abbia cominciato a prevalere in alcune zone, piuttosto che in altre, e quindi di conseguenza queste zone, adottando il femminile per il frutto, l’hanno usato anche per indicare la crocchetta di riso: arancina.
In conclusione, seppur entrambi i termini sono corretti, guardando la storia, l’origine del nome e le regole della lingua italiana, a vincere è la parola “arancina”.
Una cosa è certa, qualsiasi genere vogliate dare all’arancin*, la bontà di questo gustosa ricetta è insuperabile! Pochi sono anche i dubbi sulla preparazione dell’arancina. Da noi a l’Ancora è il piatto principale dello street food e noi siamo pronti a farvi scoprire tutte le varianti, con gli ingredienti più genuini della Sicilia.